Il cinquantesimo giorno di Alessandro Savelli in dono alla parrocchia di Desio
Nella Parrocchia Ss. Pietro e Paolo in via S.Caterina, 9 a Desio (MB) è possibile ammirare il grande affresco “Il cinquantesimo giorno” di Alessandro Savelli. Il maestro ha donato l’opera alla chiesa in occasione dei festeggiamenti per il cinquantesimo anno dalla fondazione. Una tela estremamente potente il cui colore ha la forza di attirare lo spettatore dentro il quadro e renderlo in un attimo parte di quel popolo in cammino verso lo Spirito Santo. Il componimento poetico che trovate sotto di Corrado Bagnoli ben ci trasporta dentro l’atmosfera dell’opera.
Per chi passasse da Desio un visita in Chiesa è obbligatoria.
Desio, Domenica 31 maggio 2015
Per i cinquant’anni della nostra parrocchia, l’artista Alessandro Savelli ci offre la realizzazione di un quadro sulla Pentecoste, una tela dalle misure imponenti, grande quanto la sua «Risurrezione» che già da alcuni anni ci guarda dall’altare per tutto il periodo pasquale e che, insieme alla «Vergine col bambino», che ora è defini- tivamente ospitata nel Santuario della Madonna Pellegri- na, costituisce una sorta di ideale grande trittico.
Come per la Risurrezione, come per il quadro della Vergine, anche in questo caso, il dono dell’artista alla chiesa segna un momento particolare della nostra vita comunitaria: il titolo dell’opera, «Il Cinquantesimo giorno», si riferisce naturalmente al periodo che intercor- re tra la Pasqua e la discesa dello Spirito santo su Maria e sugli Apostoli, ma non può non ricordare anche il cin- quantesimo anno di fondazione della Parrocchia.
Mi piace pensare la Pentecoste come una nuova Epifania di Dio, che dopo il Figlio ci mostra lo Spiri- to fino a vederlo in opera nella Vergine Madre e nella Chiesa che vive nella storia.
Mossa dalla forza del cinquantesimo giorno la Chiesa ora diviene capace di andare, di annunciare, di mostrare, nella carne gloriosa il volto del Mistero che l’attraversa. È la nascita stessa della Chiesa e per noi, che festeggiamo i cinquant’anni della nostra Parrocchia, è come un nuovo inizio che accogliamo e viviamo pieni di gratitudine.
don Giuseppe Corbari
Il cinquantesimo giorno.
di Corrado Bagnoli
Bisogna avere qualcuno, anche se
sei grande, anche se credi di potere
fare da solo. Hai bisogno di una mano,
di uno sguardo buono, di una parola
che ti dica dove andare. Tommaso
è insieme agli altri e con Maria, la casa
ormai non basta, dice lui. Che è quello
delle piaghe e del costato e che adesso
non gli bastano neanche loro: come fa,
adesso che se n'è andato in cielo,
a stargli vicino, a stargli attaccato
al suo maestro, al suo respiro che
era aria che, senza, adesso, non respira;
ai suoi passi che, senza di lui, adesso,
non si cammina. Stiamo qui - dice -
con la vita intorno e non vediamo,
non sentiamo: ci ha fatto una promessa,
noi continuiamo a mangiare qui il pane,
a bere il vino, a ripetere le sue parole.
Mi ridirebbe quello che mi ha detto allora,
se tornasse: che voglio vedere
e che invece gli altri saranno beati
che non hanno visto. Chiederebbe cosa
voglio ancora. Direi la stessa parola:
te, voglio. E anche voi, non lo volete?
Tommaso è sempre uguale, e lui lo sa.
Ma come dargli torto? Che cosa fai,
gli apri a un uomo nella testa un desiderio
grande come un mare e poi lo lasci solo, lì,
cieco ad attraversare, a misurare la distanza?
La casa è come quando apparve l'angelo
e Maria, che lo ha sentito allora, è la prima
a capire che adesso l'aria attraversa
i muri, solleva quasi i loro corpi dalla terra.
La casa è come quando apparve la stella
e gli uomini seppero, conobbero il paese
intorno a loro, la strada per andare via
o tornare. La casa è come quando dieci
giorni prima fu in un turbine di quiete
e la casa fu quiete e turbine che vola via.
La casa adesso è questo lasciare che sia
altro, un impensabile apparire dentro
le sue costole di muro, dentro il suo
fianco di creta e mattoni, sotto le spine
del legno del suo tetto, una lama,
un vortice, un'aria rossa di fuoco.
Pietro, tra la porta e gli altri, appena
discosto, cerca gli occhi di Tommaso,
domanda così se è questo che aveva
domandato; se ancora una volta, è
per lui, per la sua insistenza che ogni
cosa accade, si domanda se non è
da lui che bisogna imparare. Lo spia
nel volto allora, quasi volesse vedere
che cosa gli disegna addosso quella
forza, cosa gli impasta nella carne,
come lo muove adesso verso l'alto.
Ma non può per molto, lui stesso
preso dentro quell' istante triangolare;
vòlto anche lui come tutti, Maria
per prima, a quella voce che li penetra
e li parla, increduli d'ogni parola
che viene da quella forma sospesa
che li trapassa, che li lega insieme,
filo di sangue o abbraccio. Qualcuno
può credere per un momento, forse,
che può succedere di nuovo anche
per loro quello che ha fatto lui, che
li porti chissà dove. Ma non è questa
la via, non va via Tommaso, Pietro,
Maria, non vanno altrove; invece
è un altro che li riempie: corpi come
strumenti dal suono nuovo, fiamme
di un fuoco che s'alimenta di un vento
chissà da dove. Corpi diventati lingua
sconosciuta, uomini ancora e così
diversi, con una gioia nelle gambe
di andare, di essere occhi, mani
per un altro, uomini che restano
e vanno, uomini che vivono di cosa
che non è loro e pure sono loro.
Dopo il pane e il vino, con il pane
e il vino, adesso abita in loro un'aria
misteriosa che li porta, che li spinge
ovunque. La casa porta i segni: in alto
e ai lati il legno rimasto della croce,
il posto in cui poggiò la testa e mani
e chiodi che trapassano, così come
trapassa loro, la loro carne, una gloria,
un cerchio che li chiama, una specie
di battesimo, di nuova epifania.
Di Dio in loro, di Dio negli uomini,
come ognuno adesso fosse Maria:
cuore fatto di lui, cinquanta giorni
dopo la sua morte, solo dieci da quando
era andato via e torna per sempre in loro,
croce, padre e corsa tra di loro. In noi.