Due chiacchiere con Alessandro Savelli
di Alessia Barzaghi
La sua pittura affronta ripetutamente e costantemente il tema del paesaggio, del viaggio, del racconto. Per quale motivo?
La questione del tema è una delle più complesse, delle più ardue che un artista si trova ad affrontare. Ogni pittore deve fare delle scelte, e le scelte sono veramente sempre difficili perché se si opta per una strada se ne deve necessariamente abbandonare qualche altra. Questa operazione implica una presa di posizione precisa. Mi ha aiutato in questo senso il fatto di aver letto in maniera piuttosto approfondita la storia dell'arte, e di averla affrontata anche dal punto di vista visivo. Ho potuto notare e constatare che parecchie civiltà, compresa la nostra, hanno sempre avuto una predilezione per l'idea primaria della forma, della figura, tanto che il paesaggio è rimasto per lungo tempo solo a sfondo delle figure. Soltanto dal '700 in avanti gli artisti hanno incominciato a farlo diventare protagonista. Per questo il paesaggio mi sembra un elemento più fresco, più giovane rispetto alla figura. A questa motivazione va aggiunta una passione personale, una predilezione verso il paesaggio in senso lato. Mi piace qualsiasi tipo di paesaggio molto più che la figura, anche perché l'uomo fa parte del paesaggio ma non è il paesaggio o il protagonista del paesaggio, è qualcosa di diverso, di alternativo al paesaggio che non si può semplicemente ridurre alla relazione con la figura.
Alba Yucatan, 2009, 150x200, tecnica mista su tela
La sua pittura dal mio punto di vista è molto razionale, ponderata, estremamente sobria. Noto un ordine costante che si esprime nell'onnipresenza della linea dell'orizzonte in contrapposizione con un uso del colore molto fluido, cangiante. La sua è una voluta ricerca di equilibrio? Tale ricerca deriva in qualche modo dalla sua formazione d'architetto?
Sì, è probabile. Ho cercato di compiere gli studi di architettura che riprendessero una concezione antica di architettura, derivante dalle botteghe d'arte. Lo studio di questa disciplina ha rappresentato per me il mettere a servizio le mie personali qualità, anche istintive, per qualcosa che avesse in sé della razionalità, dei paletti, dei punti fermi con cui potersi misurare concretamente. Dei solidi termini di paragone per constatare un miglioramento, una crescita, per arrivare a capire la direzione dei propri sforzi. In pittura non ho mai voluto soltanto esprimere delle suggestioni immediate, accontentarsi dell'atto emozionale, ma ho cercato sempre di mettere a posto tali emozioni, di dar loro un ordine, sapendole controllare e al contempo esaltare evitando di ridurre l'espressione a un mero sfogo.
Nei suo lavori si respira l'infinito. Questa dimensione astratta l'abbina talvolta a delle forme iconiche, dei simboli (la mezza luna, il cuore, la stella) di immediata riconoscibilità e comunicazione. Hanno la funzione di ancoraggio ad un linguaggio di facile comprensione in una pittura informale?
Tutte le civiltà hanno sempre dato grande importanza alla sintesi simbolica e questo mi ha sempre affascinato anche perché le forme che ne hanno ricavato nella loro semplicità sono bellissime. La forma reale di una stella è molto meno affascinate della stella a cinque, sei punte, di per sé straordinaria. Lo stesso discorso vale per la forma del cuore umano e la sua rappresentazione simbolica, bellissima. Tali icone funzionano per me come una punteggiatura, una sottolineatura, un intercalare quella parte che volutamente lascio libera, almeno all'inizio, in quanto il primo approccio all'opera, a mio avviso, deve essere emozionale, e quindi libero. Solo successivamente entrano in gioco questi elementi, che sono un modo anche per ricollegarmi alle pulsazioni dell'uomo nei riguardi della natura.
Che rapporto ha con la poesia, con la filosofia, con l'aspetto meditativo della creazione artistica?
Si tratta certamente di un rapporto complesso. Mi piacciono molto sia la poesia che la filosofia ma mi sento anche molto ignorante in queste materie. La filosofia è straordinaria. Parte da un pensiero, che probabilmente è sempre lo stesso, ma che viene costantemente riveduto e corretto nel tempo. Alcuni concetti, forse i più sintetici e probabilmente i più saggi, sono da sempre degli elementi fondamentali per il mio percorso personale. Mi piace pensare ma senza dover per forza capire. Amo la filosofia semplice. Non mi interessano le sentenze, le dichiarazioni di verità, ma la scoperta delle verità, relative e diverse in base al luogo e al tempo.
Che significato ha avuto per lei l'insegnamento dell'arte?
A differenza di molti non ho scelto di insegnare e ancora oggi ho dei dubbi su questa mia professione. L'insegnante è una persona che può dare un servizio, ma nulla di più, il resto deve farlo colui che riceve questo servizio. Questo l'ho capito da studente, potevo imparare da maestri più o meno importanti. Il problema stava in quello che potevo comprendere e capire io. Alle volte basta mettere al servizio di una persona di talento un po' di esperienza perché riesca a capire qualcosa. Mi sono ritrovato a fare l'insegnante e in quel momento ho cercato di farlo distinguendo tra un vocabolario comune e uno personale. C'è un vocabolario che tutti devono conoscere perché è un loro diritto.
Non si può poi sapere cosa uno persona scriverà, che parole sceglierà, in che modo le vorrà dire. Questo sta al singolo individuo, è una scelta personale. L'insegnate può solo aiutare fornendo delle indicazioni, delle linee guida che possano orientarlo.