16/10/12

Anna Dusi, il sogno di Building Bridges e l'esperienza di The Sound of People all'Aquila

 

di Paola Gaviraghi

 

Anna Dusi artista e curatrice di una galleria di Los Angeles, a Nova per presentare i suoi artisti  racconta la sua avventura di artista e il sogno di Building Bridges.

 Anna Dusi Buffoni

Buffoni.


Anna Dusi, da Paganica a Los Angeles. “Sono nata a Milano ma tengo molto a dire che le mie origini sono abruzzesi, dell’Aquila, per la precisione Paganica. Se sono come sono ora, devo dire grazie a questa terra. Il mio background è puramente artistico ho studiato a Milano, ma la scuola non mi è servita a nulla. Ho cominciato a 16 anni, subendo l’influenza di altri artisti, disegnando osservando. All’inizio il mio era un disegno molto grafico. Poi crescendo si è evoluto e con la presenza di creature che chiamo i “Buffoni”. Ho iniziato così, facendo molte mostre a Milano. Poi ho avuto questa idea di prendermi un anno sabbatico e andare a New York, in una stanzetta in un “closet”. Nel senso che ho affittato una stanzetta e mi sono chiusa là dentro e ho disegnato ininterrottamente per quattro mesi, quattordici ore al giorno”.

 

Tanto lavoro ma l'ispirazione? “Ho disegnato tantissimo con la matita, mi piace molto, la trovo una materia molto intima, personale, è come raccontare. Apri un diario e hai bisogno di questo calore che la matita mi ha sempre dato e ho affrontato il disegno con una libertà incredibile. Ho formato queste creature molto lineari ma anche capaci di dare un senso e di scuotere chi osserva. Il mio immaginario è fortemente legato all’ironia che trovo fondamentale nella vita ma anche alla sensualità delle forme. Una sensualità erotica e poetica. Ho portato il mio bagaglio in America casualmente, mi sono spostata da New York a Los Angeles e  mi sono innamorata della sua luce, mi sono affezionata al luogo e lì ho creato e poi ho curato la maggioranza delle mie mostre.

 

Come è arrivata alla galleria ADC Building Bridges? “Ho esposto delle mie opere per la Galleria e ho conosciuto Marisa la direttrice con cui c’è stata subito una grande empatia, per un certo periodo i nostri percorsi sono stati paralleli. Come dicevo prima curavo le mie esposizioni e quindi mi è sempre piaciuto stare dietro le quinte e mi è sempre piaciuto vedere e osservare, ascoltare le persone più brave di me. Ho sempre avuto la curiosità di scoprire queste anime. Marisa, ha visto questa mia propensione e mi ha coinvolto nel progetto della galleria e nel 2009 sono entrata a far parte del progetto Building Bridges. E quindi a lavorare non solo come artista ma anche come curatrice di altri artisti. Mi piace molto lavorare con Marisa certamente abbiamo gusti diversi e quindi ci confrontiamo molto.

 

Cos’è il progetto Building Bridges? “Un progetto, nato nel 2005, che ha reso la galleria diversa dalle altre gallerie di Los Angeles che sono fortemente commerciali e legate ad artisti locali. Noi ci collochiamo come degli outsider rispetto al contesto. Perché puntiamo sulla promozione di artisti internazionali, a cui chiediamo l’esclusiva. Devono lavorare solo con noi. Certamente siamo curiosi e teniamo gli occhi aperti sugli artisti locali. Certamente un buon artista è sempre di nostro interesse.  Noi puntiamo all’esclusiva per far emergere i linguaggi degli artisti e creare dialoghi e progetti che ci diano identità e ci distinguono dagli altri. Perché il nostro impegno primario è fare arte, fare cultura. Organizziamo mostre a tema e poi portiamo gli artisti fuori da Los Angeles.  Ad esempio la nostra ultima esposizione Arte Politica e Ambiente è una mostra itinerante che ha chiesto agli artisti di esprimersi su questi tre concetti e che abbiamo portato in Cile e in Messico e ora speriamo presto anche a Los Angeles”.

 

Quanti sono i vostri artisti? “La nostra famiglia è composta da 15 artisti di cui due sono italiani molto giovani. Matteo Vinti e Tea Falco, due artisti concettuali, due poeti dell’immagine. Matteo Vinti è di Perugia e spero di collaborare con lui per un progetto sull’acqua  da realizzare a l’Aquila. Mentre Tea Falco è di Catania una fotografa di 25 anni, con lei stiamo cercando di organizzare una mostra sull’erotismo a Los Angeles. Lei è anche attrice ed è stata la protagonista dell’ultimo film di Bertolucci”.

 

Torniamo ad Anna artista tornata all’Aquila.  “Attraversando i vicoli del centro dell’Aquila, un centro storico che non esiste più e abbandonato completamente, ho scritto una sceneggiatura di suoni. Ho voluto fare un omaggio all’Aquila, l’omaggio di riascoltarsi. Quindi, una settimana dello scorso settembre, ho rianimato con delle voci e dei suoni originali del paesaggio aquilano, una parte del centro storico distrutto. Hanno partecipato ottocento persone. Un’audio installazione con sei “speakers” sei casse in cui dalle cinque del pomeriggio fino all’imbrunire riascoltavi i passi, i bambini, le fontane, la pioggia, i posti di ritrovo, i bar i negozi, le saracinesche che si chiudono. Ho voluto dare questa sensazione delle vive voci della quotidianità dentro le macerie. Per molti è stata una botta allo stomaco soprattutto per i cittadini e gli anziani che hanno ripercorso queste strade. Per me non era  una provocazione ma una poesia in suoni, un gesto genuino”. 

 

Le reazioni ? “Le persone si fermavano in questo luogo abbandonato e chiudevano gli occhi per ricordare. Questo mi ha emozionato moltissimo, ma il problema mio è che uno deve pensare al presente e al futuro è questo che volevo dare a loro, ma è inevitabile che prevalga la nostalgia. Questo è un luogo che ha bisogno di essere motivato, stimolato. Occorre dare speranza. Io desidero lavorare ancora per l’Aquila. Sono piccoli gesti ma ho bisogno e trovo doveroso dare qualcosa a questa città.  Anche se ho visto molto scetticismo ho dovuto trascinare le persone, hanno paura, paura di ricordare, manca la memoria. Tendiamo a dimenticare le cose che ci accadono. Occorre riascoltare i nostri luoghi, dobbiamo osservarli recuperarne la memoria. L’Aquila in questo senso è il riflesso di quello che succede in Italia, questa mancanza di ascoltarsi e di apprezzare i propri luoghi e il proprio patrimonio. Spero che tra cinquant'anni non sia più così”.

 

E' questa l'anina di Building Bridges? “Sì, il sogno è che le persone arrivino in uno spazio espositivo come il nostro e cerchino di respirare e di affrontare con maturità il lavoro di un artista. Questo è un gesto di responsabilità che manca. Ecco noi vogliamo creare consapevolezza. L’arte aiuta a leggere il mondo, è sempre stato così e a volte sa essere anche molto semplice in questo”.

 

Un’anima europea nel pragmatismo statunitense? “Sì Building Bridges ha un’anima fortemente europea in questo suo impegno culturale, certo vendere è importante, la legge di mercato è molto forte. Art Basel è un potere fortissimo, nel suo interno vedi un élite e  non si sa con quali criteri questa gente venga scelta. Noi siamo una nicchia di onestà vogliamo dialogare e dare un contributo a ciò che ci sta intorno”.

 

The Sound of People 


villa brivio